Cercasi brand journalist
Sai che cos’è il brand journalism. Sei convinto che possa essere utile alla tua impresa. Hai deciso, magari dopo mesi di riflessione, che vuoi dare una svolta alla tua comunicazione aziendale e che vale la pena provare. Solo che non sai da dove cominciare per trovare un* brand journalist.
A quanto pare, non lo sanno nemmeno le società di ricerca e selezione del personale: di offerte di lavoro per “brand journalist” non se ne vedono. In Italia, almeno, perché altrove, invece, è già diventato un ruolo richiesto dalle aziende.
Per aiutare gli imprenditori che volessero cimentarsi nella ricerca, o i recruiter italiani che dovessero trovarsi per la prima volta a elaborare una job description, ecco i requisiti di un brand journalist descritti in alcuni annunci pubblicati sul web tra luglio 2016 e i primi mesi del 2017. Sono offerte di lavoro per brand journalist in Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Australia e provengono da aziende di diverse dimensioni e settori, dalla piccola agenzia di servizi web a uno dei colossi dell’informatica. I requisiti fondamentali che ricorrono in tutti gli annunci sono tre: giornalismo, scrittura ed esperienza.
Essere un giornalista
Il brand journalist deve essere un giornalista. Sembra un’ovvietà, eppure è necessario sottolinearlo, perché quando si parla di comunicazione, soprattutto digitale, molti ruoli spesso appaiono sfumati e, a un occhio non competente, pericolosamente intercambiabili.
Un brand journalist non è un content marketer e nemmeno un social media manager, men che meno un blogger. Può, e anzi è auspicabile, che conosca i principi del content marketing, che sappia usare i social media e che abbia esperienza di blogging; ma la prima competenza, irrinunciabile, del brand journalist è che sia un giornalista, perché è quello che deve fare.
Sites n Stores è un’agenzia di Melbourne che si occupa di web design e web marketing. Nel settembre 2016 ha cercato un brand journalist (a destra) con “spiccate doti di reporter e attitudine al racconto”, con l’evidente intenzione di mettere in pratica ciò che Larry Light affermava nella sua celebre definizione di brand journalism come cronaca di un brand.
Come ci hanno mostrato decine di film sul giornalismo, da Prima Pagina a Il caso Spotlight, essere un giornalista significa cercare e riconoscere una notizia, saperla raccontare e spiegare, ricercandone le cause e mostrandone i possibili effetti.
È per questo, probabilmente, che la JLL, società di consulenza finanziaria nel settore immobiliare, quando nel novembre 2016 ha deciso di assumere un Thought Leader – Brand Journalist nella sua sede di Calgary, in Canada, ha specificato nel suo annuncio (sotto): “Non è una posizione di comunicazione istituzionale tradizionale; cerchiamo una mentalità giornalistica proattiva” capace di “utilizzare tecniche giornalistiche per produrre contenuti affidabili e di alta qualità: identificare le idee, condurre ricerche, intervistare esperti sia interni, sia esterni.” Del resto, sottolinea la JLL, il brand journalist in questione deve essere un thought leader, in grado di definire e guidare la strategia di comunicazione e di creare valore per l’azienda.
All’inizio del 2017, sul quotidiano inglese The Guardian, una società di ricerca e selezione ha pubblicato un annuncio (sotto) per un’agenzia londinese di marketing sportivo, che cercava un brand journalist per un’importante società motoristica. Oltre a richiedere “brillanti capacità giornalistiche”, l’agenzia precisava di non cercare “un maniaco dei motori, ma qualcuno che sappia trovare storie e scrivere articoli di alta qualità per conto del brand.” Una sintetica, quanto esemplare job description del brand journalist.
Saper scrivere
Su un altro punto questi annunci sono tutti d’accordo: un brand journalist deve scrivere in modo irreprensibile. E per rimarcare questo requisito – che sembra anch’esso ovvio, eppure lo è ancora meno del precedente – usano espressioni inequivocabili, destinate evidentemente a tenere lontani i sedicenti “scrittori” abituati a pubblicare sui social media senza controllare l’ortografia e la sintassi, a volte nemmeno i refusi.
“Ossessionato dalle parole e fanatico della grammatica” dev’essere un brand journalist secondo Apptio, che produce applicazioni software per la gestione dei servizi IT a Bellevue, nello Stato di Washington. Nel suo annuncio (a sinistra), nel luglio 2016, l’azienda rimarcava inoltre l’importanza di essere “creativi e meticolosi nell’uso del linguaggio”.
Nella sua ricerca, anche Sites n Stores precisava di volere una persona che “sa usare le parole” (wordsmith) e che abbia “solide capacità di revisione” e “un grande occhio per i dettagli”, requisiti che sono sottolineati del resto da tutti gli annunci. La competenza nella revisione è particolarmente importante: la velocità delle timeline dei social media impongono ritmi serrati e una rapidità nella pubblicazione che si scontra, fatalmente, con la precisione e la correttezza, sia sostanziale (la verifica delle notizie e delle fonti), sia formale (il rispetto della regole grammaticali). Come ci dicevano le maestre alle scuole elementari, rileggere è una fase fondamentale del processo di scrittura e anche nella content creation la qualità richiede tempo, soprattutto il tempo della revisione e della correzione.
Anche la multinazionale informatica Oracle, nel suo annuncio (a destra) pubblicato a novembre 2016 per assumere un brand journalist nella sede di San Diego, in California, elencava tra i requisiti “eccellenti capacità di scrittura”.
L’Università dell’Ohio, per il Sr. Writer/Brand Journalist che ha cercato nel 2016 (sotto), richiedeva non solo “uno scrittore eccezionale” con “provate capacità di scrittura e revisione”, ma anche la conoscenza dell’AP style, le linee guida di scrittura dell’Associated Press, una delle più grandi agenzie di stampa del mondo. Ogni studente americano di giornalismo conosce il manuale di stile dell’AP e la richiesta dell’Università dell’Ohio non fa che confermare il primo requisito: saper scrivere non solo in modo perfetto, ma anche da giornalista.
Avere esperienza
Quanti anni di esperienza deve avere un brand journalist? Stando a questi annunci, almeno cinque. Oracle ne richiede più di dodici ed è comprensibile, perché vuole un professionista che crei “contenuti con la qualità di un magazine”. “Il nostro Brand Journalist ideale”, scrive l’azienda nella sua offerta di lavoro, “è qualcuno che si diverte a prendere un argomento estremamente tecnico e a trasformarlo in un contenuto da maestro.”
Anche le richieste delle altre aziende non sono da meno. JLL afferma che il brand journalist “avrà un ruolo fondamentale nell’aiutarci a perfezionare la nostra strategia e a diffondere il nostro messaggio”; per l’Università dell’Ohio deve guidare non solo lo sviluppo dei contenuti, ma anche una nutrita schiera di collaboratori; per Apptio, deve avere “un grande impatto attraverso lo storytelling tradizionale e digitale” e contribuire allo sviluppo delle strategie di contenuti per tutte le divisioni aziendali.
È evidente che queste aziende cercano professionisti del giornalismo, ai quali poter affidare un ruolo strategico all’interno della propria comunicazione. Da questo punto di vista, cinque anni possono essere sufficienti per consolidare le capacità giornalistiche, se sostenuti da esperienze significative nel mondo dell’informazione; possono non bastare, se oltre al giornalismo si richiede anche la conoscenza delle dinamiche della comunicazione d’impresa e competenze in uno specifico settore, come nel caso di Oracle.
Puntare sui fondamentali
Infine, un mito da sfatare. Un brand journalist deve essere un professionista del giornalismo, della scrittura e della comunicazione, cioè un esperto del suo settore, non del vostro. Per un’azienda che opera in una nicchia di mercato può sembrare rassicurante avere a che fare con qualcuno che conosca i dettagli o il linguaggio tecnico, ma in realtà non è fondamentale: se è un professionista, il brand journalist saprà fare ricerche, trovare le notizie, fare le domande giuste, scrivere esattamente ciò che ci vuole per comunicare la vostra azienda al vostro pubblico. È il suo lavoro. A un avvocato o a un commercialista chiedereste la “conoscenza del settore”?
Dal vostro brand journalist pretendete invece che sia un giornalista, che sappia scrivere in un italiano perfetto e che abbia una solida esperienza. Tutto il resto può essere utile e desiderabile, ma i fondamentali sono irrinunciabili.
Marialetizia Mele
* Ovviamente – anzi, a maggior ragione, per un motivo autobiografico – tutto l’articolo si riferisce sia al, sia alla brand journalist. Il termine maschile è usato per indicare un ruolo, come spesso accade in italiano con le professioni.
L’immagine di apertura è di Alejandro Escamilla su Unsplash.